Breve storia delle Comunità Terapeutiche in Italia (tratto dal "Quindicesimo Libro Bianco sulle Droghe")
Qui sotto riporto una pezzo del 15° "Libro Bianco sulle droghe 2024" di Fuoriluogo; in particolare la parte dedicata alla storia delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti in Italia, scritto dal CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità d'Accoglienza).
Potete scaricare il "Libro Bianco sulle droghe 2024" dal mio link di Google Drive:
https://drive.google.com/file/d/13bauIpfG0hW-D1RWVe6t2Alg6iuDjkNR/view?usp=sharing
Pubblicato da Fuoriluogo:
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Le Comunità Terapeutiche in Italia: un po' di storia (a cura di CNCA).
Le comunità terapeutiche hanno rappresentato, per molte realtà territoriali, la più immediata risposta possibile al problema della dipendenza da sostanze, insieme a un impegno politico, educativo e sociale che ha portato alla nascita di “luoghi” di risposta condivisa, di cui le comunità sono state il soggetto più significativo.
In Italia il fenomeno della diffusione dell’eroina soprattutto tra la popolazione più giovane si è concretizzato, tra la seconda metà degli anni Settanta e gli anni Novanta, in un alto numero di morti – fino a 1.500 all’anno per overdose nel 1996 – e nel consolidamento di una parte della popolazione con problemi di tossicodipendenza. Persone che, per le abitudini e le modalità d’uso collettivo per via endovenosa, sono state fra le prime vittime dell’epidemia di Aids e affette dalle patologie connesse alla diffusione dell’Hiv. L’infezione da Hiv aveva contagiato un numero enorme di persone – il picco venne raggiunto alla metà degli anni Ottanta, con circa 18.000 nuove infezioni all'anno – e tra esse soprattutto i tossicodipendenti, con un elevatissimo numero di morti tra i malati, anche per la quasi totale assenza di farmaci efficaci.
In questo quadro allarmante per il prezzo di vite pagate a un fenomeno che sembrava inarrestabile, accompagnato da tensioni, drammi familiari e rapporti sociali intergenerazionali conflittuali e da una quasi totale assenza di servizi pubblici specifici dedicati, una parte di società civile sensibile, attiva e preoccupata, si attivò per cercare delle risposte alle richieste di aiuto che venivano dalle persone con problemi di dipendenza.
È così che nacquero da gruppi di familiari, volontari, religiosi e professionisti, sperimentazioni di forme nuove di ascolto legate a esperienze residenziali connesse ai territori, che offrivano processi di accompagnamento relazionale, gruppi di auto aiuto, laboratori ergo terapici, supporto psico-pedagogico, attraverso esperienze di vita comunitaria fra persone con tossicodipendenza da eroina, volontari in via di formazione e professionisti particolarmente sensibili.
I modelli erano ispirati, mutuati e rivisitati da un lato sulle esperienze anglosassoni delle comunità di cura per persone con disagio psichico, e dall’altro sulle storiche comunità di vita, accoglienza e condivisione di ispirazione religiosa diffuse anche nel nostro paese.
Questo arcipelago eterogeneo di gruppi, associazioni, laici impegnati ed enti religiosi ¬– molti dei quali avrebbero poi dato vita, agli inizi degli anni Ottanta, al Coordinamento Nazionale Comunità di accoglienza (CNCA) – ha continuato a operare e a mantenere un forte legame con i territori in cui erano nati, con le famiglie delle persone che accoglievano, con i servizi pubblici dove esistenti (spesso legati all’inizio soprattutto alla salute mentale), inaugurando processi di formazione e scambio professionale su temi nuovi e piuttosto difficili, tra sanità e dinamiche sociali, psicologiche, educative.
A Torino, nell’ottobre del 1980, si tenne il primo incontro delle comunità di accoglienza che daranno vita due anni dopo al CNCA. Le numerose persone presenti provenivano per la maggior parte dal nord ed erano per lo più preti che, in ambienti spesso diffidenti e ostili, avevano posto il problema del disagio sociale nei territori e condiviso la richiesta di uno spazio di confronto in cui poter esprimere opinioni e proposte per incidere sulle scelte politiche in ambito sociale e sanitario, scelte che spesso erano concausa dei problemi che affrontavano nelle comunità.
Nello stesso periodo nasceva, su spinta della Conferenza Episcopale Italiana e di don Mario Picchi, il Programma “Progetto Uomo”, a forte influenza cattolica, nelle cui varie sedi territoriali il direttore era quasi sempre un sacerdote che faceva capo alla Diocesi. Un altro esempio di come il fenomeno della tossicodipendenza rappresentasse un problema molto sentito e diffuso. Il Progetto Uomo ha dato vita con alcune delle proprie associate al Centro Italiano di Solidarietà (CeIS), l’altra importante rete nazionale sul tema delle dipendenze patologiche.
In quegli anni sorgevano anche grandi strutture che ruotavano attorno a figure carismatiche, guru o pseudo tali, che operavano da incontrastati padroni, promettendo la sicura salvazione dei “drogati” attraverso l’isolamento in luoghi quasi mitici, lontani dai contesti di vita di origine degli ospiti, con programmi della durata di molti anni. Queste strutture, che applicavano metodi spesso coercitivi e con approcci molto rigidi, erano una delle risposte di una società incapace di comprendere nuove forme di espressione e conflitto giovanile, e di fornire strumenti per la soluzione dei problemi connessi con la diffusione dell’uso di eroina; erano una reazione al senso di impotenza di una generazione di fronte a nuovi bisogni sociali che minavano un relativo benessere economico diffuso. Guru che implicitamente ricevevano una delega quasi onnipotente ad agire per risolvere, senza alcuna supervisione, i problemi individuali, sociali e sanitari connessi alla tossicodipendenza con strumenti rigidamente normati, più ispirati a luoghi di contenzione, e con forme punitive e coercitive di cui si è discusso anche nelle aule dei tribunali.
Queste strutture hanno avuto per molto tempo maggiore attenzione e credito anche politico – pur rispondendo a un numero limitatissimo di persone – perché rispondevano a un bisogno generalizzato di allontanamento dal contesto civile del malato, del problema, della droga, come precedentemente era successo per il fenomeno della malattia mentale (come ha ben raccontato Foucault ricostruendo la storia della follia).
Non a caso erano i tempi della rivoluzione sulla salute mentale che veniva attuata a Trieste, che portò alla legge Basaglia e alla sua contrastata applicazione in tutta Italia. Approccio e proposta riformatori in cui molte delle realtà del CNCA si riconoscevano e a cui si ispiravano. Il dibattito che si sviluppò nella società civile e fra i professionisti è ancora acceso e malgrado la nascita della rete dei servizi pubblici per le dipendenze, delle agenzie europee e internazionali sul tema, fa fatica a uscire da una contrapposizione tra forme profondamente diverse di risposta, tra rigida contenzione del “drogato” inteso come quasi incapace di intendere e, invece, l’attivazione delle persone coinvolte, dei loro familiari e delle varie realtà sociali e politiche su temi – la droga, l’Aids – che di questa società in evoluzione sono espressione.
Per questo è erroneo parlare in maniera generalizzata di comunità terapeutica per tossicodipendenti, in un quadro di centinaia di strutture residenziali, diurne, notturne e ambulatoriali estremamente eterogenee e talvolta antitetiche tra loro, con modalità e obiettivi di accoglienza, cura, accompagnamento anche molto diversi.
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Tratto da "Il Gioco si fa duro, quindicesimo Libro Bianco sulle Droghe: gli effetti della legge antidroga" Edizione 2024 sui dati del 2023.
Autori | A cura di: Grazia Zuffa, Franco Corleone, Stefano Anastasia, Leonardo Fiorentini, Marco Perduca, Maurizio Cianchella.
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- Riduzione de danno/rischio ("droghe", alcol, farmaci/psicofarmaci/sostitutivi):
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- Alcolismo, il mio percorso (Blog Riemersione):
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- Mi presento: sono anguilla83.
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