Perdersi per ritrovarsi o rischiare di perdersi per sempre?
Un post su un gruppo online mi ha dato uno spunto per questo articolo:
["La selva oscura" di Gustave Dorè] |
parla del concetto un po' Dantesco di "perdersi per ritrovare se stessi", inteso come "l'affrontare momenti di crisi e incertezza per riuscire a crescere a livello personale".
Questo concetto mi trova solo parzialmente d'accordo:
"perdersi" è sia un'opportunità di cambiamento che un rischio, e il "riuscire a ritrovarsi" non è un esisto scontato...
Qui sotto faccio il copia-incolla del post di "Andrea Hugo Enobrac" (che mi ha autorizzata ad usare il suo scritto per questo post), seguito dalla risposta che gli diedi nel gruppo online.
Bisogna "perdersi per potersi ritrovare" e spesso è legato a un percorso di crescita personale o spirituale. Significa che, a volte, per scoprire chi siamo veramente o per trovare la nostra strada, dobbiamo attraversare periodi di smarrimento, incertezza o crisi. Questo "perdersi" può essere un momento difficile, ma è essenziale per liberarsi dalle vecchie abitudini, credenze o illusioni che ci limitano, e per far emergere una nuova consapevolezza o identità più autentica. Io soffro e, alterno momenti di luce a momenti di buio.. cerco di non mollare..grazie
La mia risposta:
Perdersi per ritrovarsi...
Forse da un lato i momento di smarrimento possono essere fautori di cambiamento: se non ti sei mai perso puoi andare avanti sulla strada tracciata (spesso da altri), dalla fanciullezza fino alla morte, senza mai cambiare o scoprire chi sei veramente...
D'altro canto a perdersi nel deserto è più probabile morire di sete che scoprire un'oasi...
Perdersi può essere pericoloso e non sempre "ci si ritrova" riuscendo a comprendere meglio se stessi e a prendere una nuova strada...
scrivendo il post mi sono venute in mente molte altre riflessioni sul tema, che inserirò in un post successivo.
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