La Dottrina della "Trasparenza Radicale Online": Una Critica verso una Ideologia Distopica
Internet, o almeno l'internet "commerciale", è nato come un luogo di libertà di espressione, un ambiente dove le idee potevano circolare liberamente e dove l'anonimato (sempre parziale, nessuno è mai del tutto "irrintracciabile" online) garantiva una certa protezione per coloro che potevano sentirsi vulnerabili o esposti a giudizi e discriminazioni.
Tuttavia, la dottrina della "trasparenza radicale online" ha iniziato a trasformare questa percezione, promettendo maggiore sicurezza ma, in realtà, spingendo gli utenti a condividere i propri dati personali sulle piattaforme online che li usano a fini commerciali e di entità governative che li utilizzano per controllare e profilare la popolazione e creando un presente sempre più distopico.
[la dottrina della "trasparenza radicale" online crea un mondo distopico dove chi non vuole esporsi a 360° risulta "sospetto] |
In realtà esistono già gli strumenti per tracciare chi naviga su Internet e usa i social e per perseguire persone che si macchiano di reati come minacce o stalking; riguardo alla vera criminalità online, non è e non sarà certo l'obbligo di avere un profilo social "verificato" o "plausibile" con nome cognome e foto profilo a fermarli...
Questa dottrina è stata spesso presentata come uno strumento per rendere internet un luogo più sicuro, ma è in realtà uno strumento di controllo sociale oppressivo oltre a un sistema per foraggiare il saccheggio di dati privati ai fini di profilazione commerciale e per altri utilizzi talvolta poco condivisibili (ad es la vendita di nostre immagini a ditte che le usano per addestrare IA che potrebbero servire per il riconoscimento facciale in un regime oppressivo). Non solo non sembra limitare la criminalità o il bullismo online, ma potrebbe anche limitare la libertà di espressione, soprattutto per coloro che fanno parte di gruppi stigmatizzati, come le comunità LGBT, le minoranze, o persone con problemi di salute mentale o dipendenze ecc e per qualsiasi persone voglia esplorare interessi per cui potrebbe essere biasimato adesso o in futuro (fosse anche condividere la propria passione per i "My Little Pony", cosa assolutamente innocua, ma che una persona potrebbe non voler associare al proprio nome e cognome).
Anche in passato, molto prima di internet, scrittori e filosofi hanno spesso usato pseudonimi per pubblicare libri contenenti idee che potevano essere giudicate "controverse" e causargli problemi o persecuzioni; questo ha contribuito al progredire del pensiero e della filosofia occidentale garantendo agli autori la possibilità di esprimersi e alle idee di circolare.
L'uso di nickname e identità alternative sui social media non rende necessariamente le piattaforme meno sicure, ma può offrire agli utenti la libertà di esprimersi e di condividere idee senza paura di essere stigmatizzati nel presente o fra un decennio. Inoltre, la possibilità di scrivere online mantenendo la privacy, anche all'interno di gruppi chiusi, è fondamentale per proteggere la propria identità e le proprie opinioni, che altrimenti potrebbero essere esposte e causare problemi anche a distanza di decenni (mi è personalmente capitato di recente di trovare leggibili su Google cose che avevo scritto quasi 25 anni fa su un gruppo Usnet chiuso, quando ancora Google non esisteva e nemmeno il concetto di "social", per fortuna usavo un nickname...).
La trasparenza radicale, quindi, crea un clima di sospetto verso chi sceglie di non esporre i propri dati, etichettando queste persone come losche o criminali, senza però fornire una reale protezione contro i veri criminali online.
[il clima di sospetto verso chi usa nickname
sta trasformando internet in una Distopia
degna di un romanzo Cyberpunk]
Questo clima di sospetto verso chi non vuole esporsi totalmente online sta generando un mondo degno di una Distopia Cyberpunk..
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